lunedì 17 dicembre 2007

Miti, Leggende e Storia. Il vischio

IL GAZZETTINO -
Miti, Leggende e Storia. Il vischio
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a cura dell'Associazione Forestali d'Italia

Miti, Leggende e Storia.Il vischio è sempre stato una pianta sacra.
Una specie di miracolo della natura che d'inverno spicca nei boschi
quando alberi e arbusti mostrano solo rami spogli. Già Plinio il
Vecchio descrive i rituali delle popolazioni gallico-celtiche che
accompagnavano la raccolta del vischio. Nella mitologia greca poi esso
viene associato ad Atena.

Per i Greci inoltre il vischio é la "chiave" usata ogni anno da
Persefone per raggiungere il marito all'inferno nei mesi invernali; ed
è con un rametto di vischio in mano che (secondo Virgilio) Enea
convince Caronte a fargli attraversare lo Stige e scende agli inferi
per incontrare il padre Anchise. E soprattutto con esso può superare
tutte le difficoltà e tornare sano e salvo nel mondo dei vivi.
Tuttavia a proposito dell'origine del vischio c'è una interessante
fiaba del Trentino. Di essa ci sono varie versioni che differiscono
nella forma, non certo nella sostanza (che è sempre la stessa).
Partiamo dunque da questa fiaba. C'era una volta, in un paese tra i
monti, un vecchio mercante. L'uomo viveva solo, non si era mai sposato
e non aveva più nessun amico. Per tutta la vita era stato avido e
avaro, aveva sempre anteposto il guadagno all'amicizia e ai rapporti
umani. L'andamento dei suoi affari era l'unica cosa che gli importava.
Di notte dormiva pochissimo, spesso si alzava e andava a contare il
denaro che teneva in casa, nascosto in una cassapanca.
Per avere sempre più soldi, a volte si comportava in modo disonesto e
approfittava della ingenuità di alcune persone. Ma tanto a lui non
importava, perché non andava mai oltre le apparenze. Non voleva
conoscere quelli con i quali faceva affari. Non gli interessavano le
loro storie e i loro problemi. E per questo motivo nessuno gli voleva
bene. Una notte di dicembre, ormai vicino a Natale, il vecchio
mercante non riusciva a dormire e dopo aver fatto i conti dei
guadagni, decise di uscire a fare una passeggiata. Cominciò a sentire
delle voci e delle risate, urla gioiose di bambini e canti. Pensò che
di notte era strano sentire tanto chiasso in paese. Si incuriosì
perché non aveva ancora incontrato nessuno, nonostante voci e rumori
sembrassero molto vicini. A un certo punto cominciò a sentire qualcuno
che pronunciava il suo nome, chiedeva aiuto e lo chiamava fratello.
L'uomo non aveva fratelli o sorelle e si stupì.

Per tutta la notte, ascoltò le voci che raccontavano storie tristi e
allegre, vicende familiari e d'amore. Venne a sapere che alcuni vicini
erano molto poveri e che sfamavano a fatica i figli; che altre persone
soffrivano la solitudine oppure che non avevano mai dimenticato un
amore di gioventù. Pentito per non aver mai capito che cosa si
nascondesse dietro alle persone che vedeva tutti i giorni, l'uomo
cominciò a piangere. Pianse così tanto che le sue lacrime si sparsero
sul cespuglio al quale si era appoggiato. E le lacrime non sparirono
al mattino, ma continuarono a splendere come perle.

Era nato il vischio.

Ma torniamo ai Gallo-Celti. Non solo per brevità (il soffermarci sulla
sua presenza nella tradizione greca e latina ci porterebbe, infatti,
assai lontano). Ma anche perché le consuetudini sull'uso del vischio
come elemento apportatore di buona sorte derivano in buona parte dalle
antiche tradizioni celtiche, costumi di una popolazione che
considerava questa pianta come magica (perché, pur senza radici,
riusciva a vivere su un'altra specie) e sacra. Lo poteva raccogliere
infatti solo il sommo sacerdote, con l'aiuto di un falcetto d'oro.

Gli altri sacerdoti, coperti da candide vesti, lo deponevano (dopo
averlo recuperato al volo su una pezza di lino immacolato) in una
catinella (pure d'oro) riempita d'acqua e lo mostravano al popolo per
la venerazione di rito. E per guarire (per i Celti il vischio era
"colui che guarisce tutto; il simbolo della vita che trionfa sul
torpore invernale) distribuivano l'acqua che lo aveva bagnato ai
malati o a chi, comunque, dalle malattie voleva essere preservato. I
Celti consideravano il vischio una pianta donata dalle divinità e
ritenevano che questo arboscello fosse nato dove era caduta la
folgore, simbolo della discesa della divinità sulla terra. Plinio il
Vecchio riferisce che il vischio venerato dai Celti era quello che
cresceva sulla quercia, considerato l'albero del dio dei cieli e della
folgore perché su di esso cadevano spesso i fulmini. Si credeva che la
pianticella cadesse dal cielo insieme ai lampi. Questa congettura -
scrive il Frazer nel suo "Ramo d'oro" - è confermata dal nome di
"scopa del fulmine" che viene dato al vischio nel cantone svizzero di
Argau. "Perché questo epiteto - continua il Frazer - implica
chiaramente la stessa connessione tra il parassita e il fulmine; anzi
la scopa del fulmine è un nome comune in Germania per ogni escrescenza
cespugliosa o a guisa di nido che cresca su un ramo perché gli
ignoranti credono realmente che questi organismi parassitici siano un
prodotto del fulmine". Tagliando dunque il vischio con i mistici riti
ci si procura tutte le proprietà magiche del fulmine.

Le leggende che considerano il vischio strettamente connesso al cielo e alla guarigione di tutti i mali si ritrovano anche in altre civiltà del mondo come ad esempio presso gli Ainu giapponesi o presso i Valo, una popolazione africana.

Inoltre queste usanze, chiamate anche druidiche (i sacerdoti dei Celti
erano infatti i Druidi), continuarono (specie in Francia) anche dopo
la cristianizzazione. La natura del vischio, la sua nascita dal cielo
e il suo legame con i solstizi non potevano infatti non ispirare ai
cristiani il simbolo del Cristo, luce del mondo, nato in modo
misterioso. "Come il vischio è ospite di un albero, così il Cristo -
scrive Alfredo Catabiani nel suo "Florario" - è ospite dell'umanità,
un albero che non lo generò nello stesso modo con cui genera gli
uomini".

Prima di questa elaborazione simbolica, tuttavia, la Chiesa non aveva
voluto ammettere il vischio fra i suoi "ornamenti", perché legato alla
tradizione pagana. A questa prima fase della sua storia risale forse
la formazione di quella leggenda medioevale che narra come
originariamente il vischio fosse considerato una pianta normale. Anzi.
Probabilmente per mantenere una certa distanza dalle antiche
tradizioni pagane (ritenute foriere di malvagità e peccato), il
vischio fu considerato dai cristiani una pianta maledetta. Quando
infatti Gesù venne condannato a morte per crocifissione, tutti gli
alberi si frammentarono minutamente per non divenire legno per la
Croce. Solo il vischio (unico albero in tutta la Palestina) rimase
intero e per questo fu utilizzato per costruirla. Allora la pianta
ebbe la maledizione di non essere più un albero ma un misero arbusto senza radici, una specie non più in grado di vivere autonomamente ma con la necessità di sostenersi ad una pianta nobile per poter sopravvivere, una di quelle piante che "eroicamente"aveva preferito farsi in mille pezzi pur di non divenire legno per la Croce.